Fiabe senza parole – Palazzo Ducale Genova 2017

ALFREDO PASOLINO

“Rapita da sovrapposizioni velate del colore mitico e dell’ascolto di auree solitudini dei ricordi di esordio trascesi a squilli sonori di irruzione al sogno visionario”.

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E’ davvero trascinante (imperdibilmente rapinosa di soavi meraviglie del sogno mitico), questa carellata di opere percorribili sulla filiera di graduale stesura gestuale e di sviluppo metafisico cronologico. Tono su tono per una sinfonia di stati d’animo di empatia intimista, per una creatività rapinosa da seguire con attenzione emotiva, l’affioramento emulsivo subconscio richiamato in piani di meditazione Simbolista capace di accedere a sensazioni dell’immaginario curiosissimo, rivelando tratti di smagliante gestualità imparentabile ad una riaffiorante neo-rinascimentale pellicola degli archetipi profondi, della bellezza- verità.

Un intrecciante transitivo percorso di trasparenze, fusioni alchemiche del sogno, di morfologie che tassellano velami criptici del Simbolo infeltriti di nebbia, di quella sua genovesità radicata dalla generosità dei suoi Appennini che incoronano le brume del primo mattino. Una felicità soporosa di richiami storici… cari a un Piero della Francesca amalgamato ad altrettanta malinconia di un Van Dick, con l’apprensiva verbosa ritrosia gelosa della pittura di MARINA CARBONI.

Riferimenti al reale che solo l’intuizione istintiva, per l’originale inedito, porta con sé fremiti di innamoramento per la luce dell’anima traduttrice di cangianti patinature e suggerire cromie liriche che ci paiono appena nate. Colori acrilici,  richiamati dall’apnea del sogno visionario, cui si trovano a crescere delicatamente in stesura, dai ricordi di esordio agli squilli di irruzione nativa sonora baroccheggiante, per quel suo smottare e defogliarsi in superfici dipinte, pretestuose di essere indagate fino in fondo per accertare i momenti del suo processo galoppante, mai sedimentario.

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