Galleria XX Settembre 1975

IDAMARIA BALESTRERI

L’allucinato gioco di un substrato figurale diventa in queste opere favola al di là del tempo, pur appartenendo all’essenza della nostra vita stessa

II nuovo discorso di Marina Carboni è un discorso di compenetrazione. Nelle precedenti opere, l’autrice ci presentava un’immagine scarnificata con strutture filamentose espanse, che tuttavia non si distaccavano dall’elemento centrale del quadro.

Oggi, Marina che se pur giovanissima ha già raggiunto notevoli traguardi artistici, è assillata dal problema di sdoppiare la figura per una verifica sulle possibilità di annullare la fisicità dei volumi.

GALLERIA XX SETTEMBRE 1975

Di conseguenza, frazionata la consistenza di un’entità in diversi piani trasparenti, la pittrice penetra lo spazio con le progressive sovrapposizioni cromatiche ridotte a sottili velature. Questo per ottenere una maggiore profondità ottica e mentale. Compiuta questa operazione, le allusività figurali generate dal tessuto pittorico, si allungano su piani di fuga per compenetrarsi con l’universo e creare scomparti di luce filtrati da trame luminose.

Ed ecco questo pensiero della compenetrazione assumere un’importanza capillare, per la necessità di conglobare ogni entità con lo spazio determinando così un discorso corale, inteso come una trasposizione dell’essere in tutto ciò che ci circonda.

Occorre precisare che questi assiomi filosofici non disturbano il linguaggio pittorico che la Carboni realizza con una precisione quasi matematica, calibrando gli elementi per mezzo di una grande sfera che evidenzia forme primiginee spesso configurate ai margini di un morbido geometrismo.
Il colore appare articolato sui toni sommessi dei grigi-azzurri-verdi con interventi di un bianco gelido e di un rosa polvere ma sempre scanditi sul ritmo di percezioni luminose che man mano si dissolvono in armoniche campiture.
Con questi accenti, che si potrebbero definirie neo metafisici, da non confondere con la meta fisica di De Chirico ma nel senso di atmosfere sospese, l’allucinato gioco di un substrato figurale diventa in queste opere favola al di là del tempo, pur appartenendo all’essenza della nostra vita stessa.

 

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